
A partire dalle ricerche di Peter Salovey e Jack Mayer, che per primi hanno definito il QE – Quoziente Emotivo – come concetto scientifico, è ormai verità conclamata da numerosi studi a più livelli che le capacità emotive spiegano in misura significativa il successo personale e professionale. Per molti anni ignorate e soffocate, le emozioni sono oggi riconosciute come ricchezza, fonte di informazione, guida autentica nei processi decisionali, e saperle gestire riveste un’importanza fondamentale. Presso lo Studio Growing è possibile scegliere percorsi di assessment e allenamento delle abilità emotive, affiancati da coach professionisti con esperienza specifica.
Conoscersi, comprendersi, aumentare la consapevolezza
Ho trovato di grande lucidità ed efficacia pratica una recente pubblicazione di Susan David, istruttore di psicologia presso l’Università di Harvard. Sulla rivista Harvard Business Review, Susan parla di “emotional agility” quale skill critica per l’efficacia dei leader di ogni settore e la definisce come la capacità di accettare pensieri ed emozioni senza cercare di reprimerli e senza esserne “presi all’amo”; invece approcciandoli in modo presente, costruttivo e sotto la guida dei propri valori.
Lavorare, entrare in relazione, vivere ci mette di fronte a pensieri anche negativi e a sentimenti scomodi, come irritazione, dubbi, paure. Nasconderli o reprimerli, come saremmo portati a fare secondo un vecchio retaggio culturale, non è una buona strategia. Gestire le emozioni è invece prendere atto che questi pensieri e stati d’animo esistono, fanno parte della normalità del quotidiano e hanno una funzione positiva se li riconosciamo come tali: pensieri e stati d’animo appunto, non fatti.
Le emozioni sono fenomeni che accadono nel corpo e nella mente, indipendentemente dalla nostra volontà e coscienza, e contengono un’energia specifica e informazioni. L’abilità consiste nell’accogliere il messaggio emozionale ed utilizzarlo, mentre manteniamo la scelta rispetto alle azioni conseguenti. Così in presenza di un impulso diventa possibile prendere coscienza dei fattori che l’hanno scatenato, trarre da quell’esperienza informazioni e apprendimenti, e agire non con un comportamento pilotato in automatico agire non un comportamento pilotato in automatico bensì una scelta che rispecchia ciò che conta: i nostri valori precisamente.
Agire invece di reagire è la grande libertà che l’intelligenza emotiva regala, insieme alla possibilità di vivere per più tempo e con maggior frequenza in stati desiderati e fonte di risorse, anche questi valore individuale e personalissima preferenza: provare fiducia, serenità oppure concentrazione; essere presenti, sentirsi ispirati, sentirsi centrati. Questa competenza non si acquisisce in un istante, ma si allena nel tempo lavorando sull’insieme delle sue componenti. Il punto di partenza è la consapevolezza.
Ascoltarsi è la prima cosa, dare spazio, senza giudizio: accettiamo il segnale, da parte del nostro sistema interno, che qualcosa è percepito come importante e richiede la nostra attenzione in termini di lettura e decodifica. Un passaggio essenziale consiste nell’attribuire a quanto proviamo un nome preciso: se ho la parola per dirlo allora esiste e lo riconosco. Questo processo di “alfabetizzazione” è tanto più efficace quanto maggiore è la ricchezza del linguaggio emozionale e può essere facilitato dai modelli che forniscono riferimenti semantici. Tra questi lo schema di Plutchik, che isola otto emozioni primarie, le loro accezioni e i gradi di intensità.
Inoltre è importante imparare a riconoscere i propri trigger, quei fattori che toccano in ciascuno punti sensibili e innescano una reazione emotiva. Joseph LeDoux, neuroscienziato della New York University, li definisce memorie impresse in modo indelebile nell’amigdala, il nostro cervello più arcaico. Se cancellarli è improbabile, identificarli permette di fare intervenire altre risorse: in primis la corteccia cerebrale e la coscienza.
E ancora: disegnare un profilo delle emozioni sperimentate abitualmente, imparando per ognuna a riconoscere e rappresentare le modalità di innesco, l’intensità e la durata media. Riconoscere e prendere nota dei pattern: quegli schemi o sentieri neurali, attivati in automatico dopo uno stimolo, che includono pensieri, interpretazioni, sensazioni nel corpo e azioni (sulla definizione dei meccanismi emozionali automatici rimangono interessanti gli studi di Silvan Tomkins e la sua ‘Affect Theory’, 1962-1992).
Si tratta di un processo di sviluppo della consapevolezza emotiva non sempre semplice, e tutt’altro che rapido. Molti di noi devono lavorarci a lungo, affrontando un aspetto alla volta. Un supporto spesso utile sono gli strumenti di valutazione: questionari fondati su un solido lavoro di ricerca, come il SEI o il MSCEIT, danno una visione più chiara delle abilità iniziali, e possono suggerire su quali elementi concentrarsi prima. Fondamentale è la costanza: una pratica sistematica, costante e puntuale, di raccolta, registrazione, analisi fisica. E l’allenamento a restare in contatto con la nostra esperienza interna e ad accorgersi il prima possibile di quanto ci accade.
La ricompensa è il potere della meta-cognizione, la capacità di pensare sui pensieri, che supporta la comprensione e l’esperienza di sé, permette un comportamento relazionale autentico ed immediato e migliora la possibilità di decidere per azioni appropriate alle situazioni che viviamo; rispetto all’ambiente, agli altri e a noi stessi.
di Laura Ravanetti